Saint Seiya/I Cavalieri dello Zodiaco GdR - The Saint Order

Soli al comando

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    Flama David Von Balthasar



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    «Sono contento che abbiate deciso di fare silenzio.»

    Abbandonò adagio la cabina della carrozza, ma non discese. Non subito, almeno. Si guardò intorno. Con un preciso colpo delle narici catturò l'odore del sangue, che si era mischiato al fragrante profumo delle rose. Una curva delicata tra le gote marcò con precisione il suo entusiasmo. Ciò nonostante, rivolse un'occhiata fugace, poco attenta e disinteressata, ai corpi riversi a terra. Abbandonò lo sportello della vettura con un balzo, atterrando leggiadro quasi come se non avesse peso alcuno.

    «Ora, se mi è concesso, sarebbe troppo chiedervi di non attentare più alla mia vita?»

    Oltre ai corpi dalla pelle violacea, livida, e in posizione fetale, scorse quella che avrebbe dovuto essere la sua scorta. O meglio, quel che ne rimase. L'agguato era stato repentino; li aveva sentiti gridare, organizzare una difesa arrabattata, prima di spegnersi del tutto. Si avvicinò a uno dei cadaveri e si accovacciò. L'odore del sangue divenne meno acre e pungente. O forse era lui che, oramai, non riusciva più a distinguerlo dal profumo delle rose? Sfilò la visiera del nemico sconfitto; il volto di un giovane, con a malapena qualche pelo sul viso, gli rigirò un'occhiata vitrea. Gli sfiorò i capelli, domandandosi quale ideale poteva valer tanto da dare via la propria - ancora acerba - vita. Si alzò con calma. Scosse il capo, chiudendo gli occhi. Sollevò di poco il mento; le urla, che prima avevano riempito la strada maestra, si rinnovarono come un'elegia e tutt'intorno intonarono un inno alla sua magnificenza. Quale ideale? Che sciocco, si disse, non era lui stesso pronto a dar via ogni cosa, in nome di un valore o di un'idea? Meglio, di una persona?

    «Immagino, in ogni caso, che mi debba complimentare per la vostra audacia.»

    Almeno ci avete provato, rise. Con uno schiocco delle dita comandò al roseto di svanire. Ammirò l'orizzonte; la sua destinazione era ancora lontana, ma col favore del Cosmo l'avrebbe raggiunta in un lampo. Invero, se avesse scelto di farlo fin da subito, forse avrebbe evitato di sacrificare la vita degli uomini che l'Imperatore aveva posto a sua difesa. Ma, in fin dei conti, non gli era mai piaciuto farsi comodo con certi "trucchetti". D'altronde, cosa ne restava della sua umanità, se non l'illusione di potersi o doversi ancora spostare come un comune mortale? Abbassò il capo e schiuse gli occhi azzurri, rivolgendosi alla carrozza. Gli aggressori avevano colpito prima i cavalli, poi la sua scorta e, infine, avevano reso il mezzo inutilizzabile. Ma, dentro la cabina, non ci erano mai arrivati.
    Negli intarsi in oro e nelle rifiniture eleganti scorse parte del suo riflesso. Poco mancò che, nel guardarsi, non s'accorgesse dei cavalli al trotto in arrivo. Che l'Imperatore Hyoga, così previdente, avesse ordinato a una seconda scorta di seguirlo? Compiaciuto si defilò poco oltre il ciglio della strada, con le braccia conserte e un'espressione divertita a dipingergli il viso diafano.



    MAMMA MIA ERA UNA VITA CHE NON MI GASAVO COSI'.



    Edited by flama - 10/9/2018, 20:06
     
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    Quanto è trascorso da allora?
    Giorni, mesi, anni... quanto precisamente?
    Un lasso di tempo imprecisato, un periodo indefinito in cui tutti – me compreso – credevano fosse finita.
    In fondo è così. È sempre stato così, per ogni storia che si rispetti.

    Il tempo passa, passa e passa... Quel finale, inizialmente amaro, diventa leggenda.
    Non è più un epilogo ma qualcosa di diverso. Qualcosa che va ben oltre la sua semplice definizione.
    Qualcosa di eterno, senza età. Che era, che è e che sarà.
    Ancora, nel futuro che in questo momento è presente e sarà presente.

    La leggenda continua.

    ~~~


    Il cadenzato e rumoroso scalpito dei cavalli si fa sempre più vicino, avvisando chi di dovere del loro imminente avvento. Nubi giallastre di polvere accompagnano la loro corsa, scostandosi ai lati e contornando il carro a seguito come un alone, alle volte, circonda la Luna. Antiche superstizioni si riferiscono ad essa (la luna circondata dall'Alone n.d.s.) come portatrice di sventura, un richiamo all'attenzione poiché qualcosa di spiacevole, molto spiacevole, potrebbe accadere. Beata ignoranza. Mai come in questo caso, tuttavia, paragone si rivelò più azzeccato. Come un fulmine a ciel sereno qualcuno frenò l'apparente irriducibile andatura dei purosangue, bloccandone gli arti con il solo movimento delle dita della sua mano destra. L'ancora considerevole distanza avrebbe reso difficile una lettura del suo profilo alla persona che attendeva sul ciglio della strada, la folata di vento che improvvisamente investe l'intero circondario elevata a impossibile. Ai granelli di terra già in volo ben presto se ne aggiungono altri, creando qualcosa di simile a quello che se avvistato in un deserto viene chiamato “diavolo di sabbia”. L'ignota figura avanza imperterrita contro di esso, giungendo a pochi passi dagli animali. Il feroce fruscio, la terra che velocemente volteggia innanzi il suo volto: nulla sembra scalfire la sua imponenza. Nulla se non quel ghigno estemporaneo che lascia trasparire nel mentre che si accinge a sussurrare parole che nessuno, tranne i malcapitati, avrebbe udito. « Io sono la vostra Salvezza. » Dal carro, ormai immobile, fanno capolino alcuni uomini adeguatamente armati. Ponendo le braccia a protezione davanti il volto spingono con forza le gambe sul davanti, riuscendo a compiere un solo piccolo balzo prima di essere costretti a retrocedere nuovamente a causa del vento. Non avendo quindi soluzioni alternative danno voce a tutto il fiato che hanno in gola, urlando all'indirizzo del misterioso figuro. « Chi sei tu? » Domandano sgarbatamente. « Cosa diavolo vuoi da noi? » Continuano. « Se non ti sposti te la vedrai m... » *Splash*. L'arma di uno di loro si conficca nel petto dell'ultimo che ha aperto bocca, lasciando in questo modo la sua frase incompleta. Dal canto suo l'enigmatico assalitore si lascia sfuggire un « Ops. » di circostanza, spingendo le dita della mano sinistra contro l'aria come se stesse suonando un pianoforte invisibile. Susseguono attimi di terrore: chi cerca invano di sfuggire, venendo investito e messo sotto da uno dei cavalli da traino; chi per paura di essere attaccato, come successo in precedenza, da uno dei suoi compagni prende l'iniziativa essendo il primo a sfoderare la propria arma e avventarla contro chi sarebbe, o forse meglio dire che ancora lo è, dalla sua parte. Tutto si riduce a urla e schiamazzi fino a quando tutti quanti, nessuno escluso, giace a terra privo di vita. Un vero e proprio massacro che pare compiacere l'artefice. « Io sono la vostra Salvezza. » Ripete, innalzando le braccia ai lati coi palmi rivolti verso il cielo. Sui polpastrelli ha origine un piccolo lampo di luce violacea, in quel preciso momento i fili di cosmo tramite i quali manovrava gli sventurati vengono meno. Cala il sipario sullo spettacolo, il vento (originato dallo stesso misterioso individuo n.d.s.) cessa improvvisamente e dopo qualche secondo il carnefice si volta dirigendosi con passo felpato nella direzione in cui si trova l'unico superstite in quelle lande - forse - desolate. Avanza fino a quando la distanza, oramai esigua, rende visibili i dettagli più importanti del suo corpo: lunghi e mossi capelli color platino, iridi scintillanti color oro, un sorriso sardonico poco più giù del naso delicato con cui crea una bizzarra suggestione; indosso un'armatura scura che non ha di sicuro bisogno di presentazione, non per quella persona in particolare almeno. « Salve. » Si lascia sfuggire in tono canzonatorio, sollevando braccio e mano destra in segno di saluto.



    Edited by Haname Hotori - 11/9/2018, 15:46
     
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    Ed eccomi qui,
    dopo anni,
    a tornare in azione.

    Un certo tipo di azione che mette euforia,
    si spera di tutti quelli che leggeranno e non solamente la mia.

    Però, forse, è meglio che mi metta a raccontarvi l’ultima (?) storia di quell’uomo.

    L’uomo si tocco la barba rossa che gli cresceva, ogni giorno di più, sotto il mento ed era: lunga, ispida e decisamente incolta. Certamente non potevamo definirlo un amante della cura personale, capelli e barba gli crescevano incuranti di un vero e proprio taglio.
    Era: vistosamente trasandato.

    Lo potevi vedere in piedi, abbandonato sul resto di una colonna, il suo peso sembrava dovesse servire a sostenerla, o forse no? Era diventato un vizioso, pigro, senza principi.
    Non riusciva più a divertirsi come nei tempi d’oro di quando suo padre comandava gli Inferi. Quindi, non sapendo più che fare, si era buttato su ogni tipo di droga.

    Già,
    proprio di droga,
    che tristezza penserete, vero?
    Invece no.
    Non quella che intendete voi lettori, non quella che crea dipendenza da una sostanza puramente chimica e costruita, bensì parliamo di adrenalina.
    Ogni tipo di azione che possa scaldargli il cuore diventava il passatempo finché non bruciava più il suo animo, purtroppo però recentemente nulla poteva farlo. Era depresso e uccidere gli uomini dell’Imperatore Hyoga non lo rendevano più soddisfatto come un tempo.
    Dopotutto erano passati nove anni dall’ultima volta.
    Nove incredibili e lunghi anni.

    Ma vi starete chiedendo: nove anni da cosa?
    Bé, da quando si era sentito: vivo.

    Vestito di un jeans e una camicia bianca, non attillata, abbastanza larga e con i polsini rigirati all’altezza dell’avambraccio, sedeva all’interno della sua carrozza purpurea.

    Accese una sigaretta, poi cominciò ad aspirare il fumo, il suo gusto acre gli inondò palato e polmoni per poi, successivamente, ripercorrere lo stesso infausto percorso e terminare in una serie di piccoli anelli che galleggiarono nell’aria.
    Ognuno di quei piccoli artefatti si schiantò sul tettuccio della carrozza, riversandosi in un alone di fumo bianco. Non era una semplice sigaretta, forse.

    Però qualcosa lo attrasse.
    Un piccolo battito del suo cuore sembrò un terremoto.
    Stava vivendo.
    Sentiva vivo il suo interesse.

    Un Cavaliere doveva aver appena usato il suo cosmo.
    Non era un cosmo qualsiasi, era il cosmo di un cavaliere dorato di Atena, quella pazza dea della giustizia, colei che rinchiuse diverse volte il suo sire nei campi elisi.
    Si riconosceva la sua potenza, se ne percepiva il calore, però sembrava quasi macabro.

    Fece un cenno al cocchiere di fermare la carrozza e rapido ne scese.
    Non doveva essere lontano dal luogo del misfatto, si poteva percepire un odore strano, il sangue era mischiato ad un altro profumo dolce, come di rosa.

    Non ne era certo,
    quindi richiamò la sua surplice.
    Essa lo ammantò come un mago, apparve dal nulla e si materializzò sul suo corpo, longilineo e muscoloso nei punti giusti. L’elmo invece era riposto tra il suo braccio destro e il pettorale, vi erano incisi dei segni di una ferita grave, uno dei due corni era stato mozzato di netto.

    Quella era un’eredità,
    l’eredità del Granduca degl’Inferi,
    la surplice di Capricorn,
    le violacee vestigia di suo padre.



    Edited by Theseus - 11/9/2018, 23:41
     
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    pisces19

    Avanzò adagio. Il canto dei grilli riprese; il sole attraverso le fronde gettava un ricamo scuro sul selciato. Doveva essere un gran bel giorno, a essere un uccello. Nell'aria c'era ancora un leggero tocco del suo profumo fragrante e letale, ma non più in sufficienti quantità da costituire un pericolo. Lo catturò con colpo preciso delle narici, issando il capo all'insù. Espirò, come libero da un peso sulla coscienza, e sorrise.

    «Vi sono grato: ora ho una scusa credibile, quando mi chiederanno della mia scorta.»

    Schiuse gli occhi sulla figura del Grifone, che era avanzato salutandolo. Non era particolarmente felice di vederlo. In genere, quando succedeva, uno dei due finiva sconfitto. Il più delle volte era il Grifone. Anzi, quasi tutte le volte. Accennò un'espressione divertita, mascherando bene la sua seccatura. Se prima poteva porsi qualche dubbio sui suoi aggressori, adesso dovette solo accettare la realtà. Si fermò e fece spallucce.

    «Non dovrei rammentarvi che siamo tutti in missione diplomatica.» Sfiorò una ciocca bionda, scostandola a lato. «Fingerò che non abbiate agito in barba al fatto che è in corso un armistizio.»

    Abbandonò il Grifone per concentrarsi verso l'altro Spettro. Si specchiò per un lungo momento nella sua corazza violacea, tornando a periodi più lontani della sua esistenza. Alla neve. Al sangue. A suo padre. Qualunque espressione dipinta sul volto fino a quel momento svanì, celata dietro un'occhiata algida. Uno spiffero d'aria si sollevò, gli carezzò il volto preciso e aggraziato, danzando tra i suoi capelli come per dispetto.

    «Mi aspetto altrettanta collaborazione anche da voi, messere.»

    pisces23

    Fece due passi indietro, anteponendo ad entrambi i cavalieri la distanza necessaria per reagire nel minor tempo possibile. Non bruciò il Cosmo; le sue intenzioni dovevano essere chiare, ma non arrischiò di mostrare a entrambi il fianco. Gli Spettri erano esseri volatili ed effimeri. Fanatici, nella maggior parte dei casi. Di quel fanatismo che aveva conosciuto anni addietro sotto le fila di Athena. Ma se i Saint blateravano di giustizia e pace, i primi potevano dar via onore e gloria per trenta denari.

    «Ora, se non vi dispiace, sono atteso a un tavolo diplomatico e, a meno che non vogliate offrirmi un passaggio, preferirei rimettermi in marcia il prima possibile.»

    Non era certo disposto a mandare a rotoli anni di trattative solo per rispondere alle provocazioni di due potenziali nemici.


    Lo dico subito, per evitare grane, questo NON E' UN DUELLO. Si, magari FORSE potrebbe diventarlo, ma preferirei evitarlo,. se possibile. In primis perché non abbiamo una scheda e, poi, perché durerebbe il tempo di ammazzarci a vicenda.

     
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    Socchiude leggermente gli occhi, muovendo una mano per aria gesticolando un ampiamente comprensibile 'sempre la solita tiritera' , per poi sbuffare platealmente non appena l'odiato interlocutore termina di dare fiato alla propria voce. « Al solito, sei di una noia mortale. » Commenta seccamente, ricambiando l'espressione divertita con una visibilmente infastidita. D'altronde ora davanti i suoi occhi si palesa il nemico di sempre, quello che in passato lo ha sconfitto una volta sì e l'altra pure. Un forte desiderio di vendetta accresce ma, senza darlo assolutamente a vedere, lo combatte relegandolo in un piccolo angolino dentro se stesso. Assicuratosi quindi che l'istinto non prevalesse sulla ragione, rotea lievemente il capo all'indirizzo dell'altro possessore di surplice. « Si aspetta collaborazione. » Sogghigna. « Mi raccomando. » Nel mentre che attende una reazione, lascia scivolare una mano tra le lunghe ciocche di capelli, tirandoli debolmente all'indietro e lasciandoli nelle grinfie del fresco filo d'aria nello stesso modo, circa, in cui agiscono i suoi fili di cosmo con le loro vittime. Osserva con attenzione l'indietreggio del cavaliere di Atena, naturale se si considera la pessima reputazione di cui godono gli Spettri come lui, accennando pochi istanti dopo dei piccoli passi atti a diminuire ancora una volta la distanza tra i due. Non solo diminuirla, gli si affianca intrepidamente conscio del fatto che non sarebbe sopraggiunta offesa alcuna. « Non stare sulla difensiva. » Sussurra. « Non provo il minimo interesse nello salvare uno come te. Non più almeno. » Cerca quindi lo Spettro del Capricorno con la coda dell'occhio, aumentando improvvisamente il volume della voce. « Io vi darei volentieri un passaggio ma, come potete constatare, sono a piedi. » Avanza di qualche passo, superando il Santo, prima di fermarsi nuovamente. Sul suo volto compare il solito, ormai caratteristico, sorriso beffardo.

     
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    Salvare?
    Lanciò un'occhiata sorpresa allo Spettro del Grifone. Per anni -o forse era meglio dire, da sempre- aveva pensato che ogni suo gesto, dal più assurdo al più efferato, ruotasse intorno al fatto che, da qualche parte nell'Ade, doveva aver perduto qualche rotella. Lui, almeno, era certo di poter scusare ogni propria azione dietro la maschera del "era necessario" o "dell'inevitabile". Giacché, quelle volte che si era trovato a compiere perfino massacri, aveva potuto dire agli altri e a sé stesso che il fine avrebbe giustificato i suoi mezzi. E mai, nemmeno per un momento, aveva considerato che il Grifone potesse spingersi sul suo stesso sentiero. Si riscoprì più rilassato, sebbene, non per questo, meno incauto. Di colpo, nel mentre questi gli era già affianco, gli rivolse un sorriso.

    «Curioso.» Incrociò le braccia sul petto. «Non desideri salvarmi perché non lo merito o perché non ve n'è più motivo?»

    Uno vento freddo si sollevò. Il Sole aveva iniziato la sua lenta discesa verso l'orizzonte, segno che non aveva molto altro tempo a sua disposizione. Guardò sottecchi l'altro fantasma della morte, ma questi parve come congelato sulla propria posizione. Creature bizzarre, invero. Sospirò. Schiuse l'incrocio delle braccia, sollevando il palmi verso l'alto. Due semi, come apparsi dal nulla, brillarono avvolti nel nutrimento dorato ch'era il suo Cosmo. Sbocciarono, si aggrovigliarono, crebbero a vista d'occhio. In pochi attimi, due ali di viticci e rampicanti, coperte di un manto di rose, spuntarono sulla sua schiena. Con un colpo deciso, si sollevò.

    «Non mi dispiacerebbe continuare la nostra conversazione.» Curvò le labbra in un sorriso carnoso, sbocciando tutta la sua malizia in un'espressione divertita. «A patto che sappiate volare, messere.»

    Con un colpo di reni si voltò. Batté le ali e fu già in avanti, come una freccia scoccata da un grandioso arco. Volteggiò due volte a mezz'aria, ma non si alzò mai troppo da far perdere le sue tracce, o da rendere impossibile al Capricorno di seguirlo con la sua carrozza. Il grifone, ne era certo, lo avrebbe seguito senz'altro. Ma, benché scelse di non avvalersi della piena velocità di un cavaliere d'oro, non diminuì la sua accelerazione e proseguì spedito.

    «Salvarmi, uh? Non sentivo qualcosa del genere da molto... troppo tempo», mugugnò.


    Nada, sposto la scena per non farla rimanere "statica". Theseus può seguirci in carrozza, al prossimo giro, così può riagganciarsi al discorso senza problemi.

     
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    Sgrana gli occhi in chiaro segno di meraviglia, non aspettandosi assolutamente di ricevere il sorriso del Cavaliere d'oro. Non in quella data circostanza almeno. « Curioso, già. » Si lascia sfuggire socchiudendo le palpebre. In quella domanda postagli c'è qualcosa di più, percepisce un significato che va ben oltre le semplici parole. Forse è solo frutto della sua immaginazione, magari ci sta solamente pensando un filo di troppo. Fatto sta che non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione di contrasto generata dall'espressione, da ciò che ha detto considerando soprattutto chi lo ha detto. « Chissà... » Interviene, rendendosi conto di essere rimasto per troppi secondi in silenzio. L'espressione emblematica comparsa sul suo volto lascia nuovamente posto al tipico sorriso beffardo. Lo sguardo si scaglia con apparente ferocia all'indirizzo del Santo. « Forse perché se al peggior nemico, solitamente, si augura la morte, nel mio caso ritengo che per te vivere sia un destino decisamente più crudele. » Solleva l'attenzione al cielo, osservando il tramonto. « O magari perché oltre la mancanza di ragione esiste una possibilità esigua di riuscirci. » Quest'ultima frase viene pronunciata con una tonalità quasi malinconica, come a volerne evidenziare l'importanza. Attimi di quiete susseguono, durante i quali il Santo rompe la postura e si libra in volo, non prima di aver dato mostra di un'abilità incredibile quanto bizzarra. « Oh... » Rimane immobile stupefatto. « C'è qualcosa di storto in questa scena. » Sogghigna, portandosi la mano sul volto. La stessa mano che, assieme a l'intero arto, qualche secondo più tardi si smuove di lato con uno scatto fulmineo rivelando al contempo le ali in dote alla sua surplice. « Arrivo. » Sentenzia battendo le ali più volte fino a sollevarsi da terra lasciando, incurante, lo Spettro del Capricorno nel bel mezzo di una nube di polvere. Per quanto veloce, palesemente il Santo non adopera la sua abilità a piena potenza. Lo dimostra il fatto che non ci vuole molto tempo affinché i due si ritrovino nuovamente affiancati.
    « Carino questo trucchetto. » Commenta una volta giunto a una distanza tale da permettere all'altro di poter udire la sua voce. « In fondo, forse, non sei così noioso. » Il tutto può per caso non essere accompagnato dal suo caratteristico sorriso? Domanda retorica. Procede spedito seguendo il 'passo' dell'altro, rivolgendogli di punto in bianco un quesito che probabilmente lo avrebbe colto di sorpresa. « Cosa rappresenta per te la salvezza? » Il suo viso si è indurito e fatto più serio, così come l'argomentazione proposta. “Non desideri salvarmi perché non lo merito o perché non ve n'è più motivo?” Queste parole gli risuonano ancora nella testa, suscitando sorpresa e curiosità sfociate, per l'appunto, nel suo tentativo di comprendere meglio il suo, fino a quel momento, odiato rivale.

     
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    «Lo sapevi che non stavo dormendo. Perché sei rimasto a fissarmi così a lungo? Non era giusto. Non era così che volevo che... Arriverà il tempo in cui dovrai affrontare quello che ci è successo, ma, fino ad allora, mi ritroverai qui dove le anime cavalieri riposano.»

    La prima volta che era sceso nell'Ade ci era andato quasi di sua volontà. Per prendere due persone. Una era suo padre, o meglio suo padre adottivo. L'altra era Altair, il Cavaliere d'Oro dell'Acquario, suo figlio. Ne era tornato a mani vuote. Al posto di quel mondo radioso e pieno di belle speranze, quello che il Grande Sacerdote gli aveva promesso al fianco di Athena, aveva trovato solo macerie, rovine e un'umanità regredita ad epoche più rozze del più rozzo medioevo di matrice illuminista. Era andato per trovare due persone e ci aveva lasciato la sua umanità.

    «Un tempo ti avrei detto la pace. Da giovane, sì, da ragazzo ci credevo.»

    Aggrottò la fronte. Era stato ragazzo? I ricordi fugaci degli anni freddi trascorsi in Svezia si mescolavano senza soluzione di continuità con le affolate giornate del suo interminabile addestramento. No, invero, ragazzo non lo era mai stato del tutto.

    «Da Cavaliere di Athena, ti avrei parlato della giustizia e dell'amore.»

    Amore? Nei suoi primi anni aveva creduto nella pace, nella giustizia e nel dovere. Aveva imparato che non era amore, quello: era solo ciò a cui un Cavaliere era chiamato. Il suo compito, nient'altro. Allora aveva rivolto il suo amore verso le donne ma il veleno che gli scorreva in corpo era fatale per tutte. Sua madre, perfino, era spirata nel darlo alla luce. E poi, a dirla tutta, non viera alcun sentimento nell'atto carnale. Solo piacere. Puro e mero piacere fisico. L'ultima era stata la sua immagine, se stesso. Poteva amare nient'altro che la sua persona? Ci aveva provato, certo. Ma più grande era il sentimento rivolto verso la propria immagine, più questa aveva fame e chiedeva ancora. Scoprì presto che l'amore per se stessi si confonde con l'autocompiacimento e, sovente, è foriero di profonda solutidine.

    «Ma io non sono più giovane. Né sono più Cavaliere di Athena. Il mio cuore non arde tra le gambe delle donne e nemmeno quando mi vedo riflesso allo specchio. La mia anima è fredda, come la Svezia che mi ha dato i natali.»

    Pochi raggi di Sole, per un'inverno che era durato tutta una vita. In questo ammirava il Kraken. Non era solo il dominio sulle energie dei ghiacci: certo, qualcuno poteva anche supporre che fosse l'algida flemma del suo spirito a rendergli così facile l'uso del gelo e del vento artico. E nessuno potrebbe negare che anche la sua vita era stata rigido come il mare che dava il nome alla colonna di cui era stato difensore. Però gli era stato vicino abbastanza da scoprire che il ghiaccio poteva bruciare come fuoco. Lui, così indifferente, eppure in grado di sprigionare un calore rovente. La fiamma della caparbietà, certo. Forse, per meglio dire, la passione di un cuore che nulla sogna se non un ambito trofeo. Quanto aveva invidiato a Hyoga quella sua fiamma impetuosa. Gli si era avvicinato per scaldarsi e, in parte, rubargliene un po'. Ma quel poco che era riuscito a prendergli non era bastato: il fuoco tra le sue dita si era spento presto, perché non aveva più come alimentarlo.

    «Quelli come te li invidio.» Si rivolse al Grifone, il volto dipinto in una smorfia indecifrabile. «Mi ricordi il Cigno, Kanon. Non ho mai espresso che parole di disprezzo in sua presenza, è vero. Quante volte gli avrò mancato di rispetto? Ah, sapessi quanto mi rivedevo nei suoi occhi. E quanto odiavo quell'immagine. L'ho ucciso perché non volevo più vedere il mostro che sono diventato.»

    SKbcjLz

    Il loro ultimo scontro era avvenuto in un punto sconosciuto dell'universo, dove le leggi del tempo si erano sovvertite e dove lui stesso, ancora, aveva trovato la morte. Ma prima di cadere per mano della Lira, aveva dovuto affrontare lui: il principe di Cerigo. Un duello all'ultimo sangue, forse uno dei migliori che potesse ricordare. Aveva trionfato, vero. Aveva anche promesso di innalzare la sua testa su una picca, ma non l'aveva fatto. Aveva usato il corpo di un altro, al suo ritorno tra i vivi. Invero, se il torneo non si fosse concluso con la propria dipartita, il Granduca avrebbe perfino preso il corpo del suo nemico e gli avrebbe dato una sepoltura. Si domandava ancora dove fosse ora, il candido cigno delle steppe. Forse libero in volo, lontano dall'insensatezza di quella vita grama? O, meglio, nel paradiso che certamente un uomo di cotanta veritù meritava senza alcun dubbio. Se lo immaginava, a volte. Bello come quel giorno che varcò l'arena. Chissà se poteva vederlo, dall'alto. Stava ridendo di lui? No, forse no. Lo compativa, questo era certo.

    «La verità, Grifone?» Il tono della sua voce s'incupì. «Non c'è più nulla che io voglia salvare. A questo mondo non c'è altro che uccidere o essere uccisi.» Scoppiò in una fragorosa risata, isterica perfino. «E, per la miseria, non so perché lo stia dicendo proprio a te.»




    Nada, sposto la scena per non farla rimanere "statica". Theseus può seguirci in carrozza, al prossimo giro, così può riagganciarsi al discorso senza problemi.

     
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